Il club delle cattive ragazze: recensione

Pubblicato ottobre 27, 2013 da labiondaprof

Il 23 ottobre è uscito  Il club delle cattive ragazze.

51wce9cbTQL._

Grazie alla Feltrinelli, l’ho avuto in anteprima e l’ho letto, devo dire con una certa curiosità. Il chick lit mi piace molto; terrò anche un corso di Scrittura in rosa, di cui parlerò meglio a breve… e da Bridget Jones alla Becky della saga I Love shopping, i libri rosa mi divertono e mi rilassano.

Il club delle cattive ragazze parte da un’idea originale: scrivere della nuova moda della letteratura erotica facendone uno spunto narrativo per un classico romanzo rosa. Una sorta di operazione metalinguistica, direbbero i semiologi e i semiotici.

La protagonista, Estelle, è separata, ha un figlio adolescente e gestisce un piccolo caffé. Gli affari non vanno benissimo, così decide di provare ad attirare nuovi clienti organizzando un book club. Il primo incontro non è un successone: ci sono solo quattro persone. Sue, con un matrimonio trentennale e tanto tempo da gestire come neopensionata; Rebecca, una giovane insegnante di Storia sposata da un solo anno ma già annoiata dalla routine di coppia; Gracie, una convinta neofemminista che lavora in una biblioteca; Reggie, un impacciato giovanotto che si veste fuori moda e sta svolgendo una tesi di dottorato, unico motivo per cui si è iscritto al book club.

Il libro del primo incontro è Tess D’Uberville, un classico ma non esattamente un libro che suscita trasporto o identificazione con la protagonista, una povera ragazza a cui capitano solo tragedie… Estelle, aiutata da un equivoco, propone come libro per il secondo incontro il best seller del momento, Ten sweet lessons (una sorta di Cinquanta sfumature di grigio, lo si intuisce perfettamente), che lei stessa sta già leggendo. Il secondo incontro si rivela divertente, ricco di spunti e capace di far interagire davvero i partecipanti.

Nasce così, nel gruppo, l’idea di leggere solo libri di letteratura erotica, anche classici, come il famosissimo L’amante di Lady Chatterley.

Da questo momento in poi, ogni personaggio vivrà dei radicali cambiamenti: Sue affronterà nodi irrisolti con il marito, Rebecca uscirà dall’apatia da novella sposina, Gracie e Reggie scopriranno insperate affinità.

Ed Estelle? Anche lei vivrà novità nella sua vita sentimentale, e … ma non svelerò altro della trama.

Concludo invece con un estratto, tratto dal primo capitolo:

Estelle, quarantadue anni, aveva aperto il Café Crumb
cinque anni prima, subito dopo il divorzio. Il matrimonio le
aveva lasciato l’impressione che la sua identità fosse stata
progressivamente inghiottita dal ruolo di moglie e madre,
così quando lei e Ted si erano separati (rendendosi conto che
se la cavavano molto meglio come amici che come marito e
moglie), Estelle aveva deciso di fare qualcosa per sé.
E l’aveva fatto, si disse piena di orgoglio, guardando il
caffè con le sue tovaglie a quadri bianchi e rossi, una gerbera
rossa in un vaso bianco su ogni tavolo. Si stava avvicinando
l’orario di chiusura e tutto era pulito e ordinato, la vetrina
con l’invitante selezione di torte e pasticcini ormai vuota.
Non sarà nulla di speciale, però è mio, pensò Estelle
compiaciuta.
Ma per quanto tempo ancora? si chiese con un brivido
contemplando di nuovo le cifre deprimenti che sembravano
oscillare davanti ai suoi occhi stanchi.
Certo, aveva alcuni clienti fissi – gli uomini d’affari che si
concedevano un latte macchiato e un croissant prima di affrontare
la trasferta giornaliera al centro di Bristol; le mamme
sprint, giovani, belle e impeccabili, che si fermavano a
fare quattro chiacchiere, bere un tè verde e sbocconcellare
un muffin ipocalorico dopo aver accompagnato i figli a
scuola; l’orda in pausa pranzo che divorava montagne di
sandwich; e i pensionati del pomeriggio, fedeli all’irrinunciabile
rito del tè con i pasticcini –, eppure a quanto pareva non
bastavano più.
Se fosse stata costretta a chiudere, concluse Estelle osando
a malapena prendere in considerazione quell’eventualità,
avrebbe perso anche la casa, l’appartamento sopra il locale
dove viveva insieme a Joe. Povero Joe. Era un bravo ragazzo,
ma stava attraversando quella fase in cui cresceva a vista
d’occhio e i vestiti non gli entravano per più di un mese. Lui

cercava di non chiedere troppo, però Estelle sapeva come
funzionava a quell’età: per essere accettato dovevi avere le
scarpe da ginnastica giuste, il modello di cellulare appena
uscito, la console di ultima generazione. Tutte cose terribilmente
costose.
Con una certa ansia, Estelle prese una fetta di torta al limone,
ne staccò un pezzetto e se lo mise in bocca. “Mmm,”
mormorò soddisfatta. Era soffice, con un sapore deciso e delizioso,
preparata a regola d’arte. Almeno le sue doti di pasticciera
erano fuori discussione. Doveva soltanto trovare il
modo di dimostrarlo, convincere la gente a varcare la soglia
del caffè…
Un movimento sull’altro lato della strada catturò l’attenzione
di Estelle, che guardò oltre la vetrina cosparsa di goccioline
di condensa. Fuori era già buio, ma nella luce ambrata
del lampione vide due persone uscire dalla Bainbridge
Books, la libreria indipendente del quartiere.
Con un tuffo al cuore, Estelle riconobbe i proprietari,
Mary e Alan Bainbridge, che chiudevano la porta del negozio
per l’ultima volta. Sul marciapiede c’erano alcuni scatoloni
di libri – quelli di cui non erano riusciti a sbarazzarsi
nemmeno durante i saldi per cessata attività –, e anche da
lontano Estelle si accorse che, mentre Alan tirava fuori le
chiavi dalla tasca, Mary aveva le lacrime agli occhi.
D’istinto, Estelle prese una delle rigide scatole bianche
da pasticceria dallo scaffale alle sue spalle, quelle riservate ai
clienti che spendevano molto, e iniziò a riempirla con un assortimento
di dolci: due fette di torta alle noci pecan, una
generosa porzione di torta allo zenzero, un paio di ciambelle
ricoperte di glassa e confettini colorati. Oh, e anche un paio
dei suoi brownies speciali, quelli al doppio cioccolato. Alan
ne andava matto.
Estelle afferrò in fretta la scatola e si precipitò fuori facendo
tintinnare la campanella alle sue spalle.

“Vi ho portato questi,” li salutò mentre attraversava la
strada, e consegnò la scatola a Mary.
“Grazie, Estelle,” disse la donna con voce rotta. “Sei
molto gentile.”
“Vero,” le fece eco Alan, prendendo la scatola dalle mani
della moglie e sbirciando all’interno.
“Mi dispiace così tanto che ve ne andiate,” continuò
Estelle con aria impotente, desiderando poter fare di più.
Mary e Alan gestivano la Bainbridge Books da oltre trent’anni,
ma ormai non potevano più permettersi di restare aperti.
Si sarebbero trasferiti nel Devon per stare vicino ai nipoti e,
anche se Estelle sapeva che già da tempo progettavano di
ritirarsi dagli affari, di sicuro non era così che volevano farlo
– senza riuscire a vendere la loro attività, obbligati a chiudere
per mancanza di clienti. Uno spaventoso avvertimento di
quello che poteva succedere anche a lei se la situazione non
fosse migliorata alla svelta.
“Be’, dobbiamo farcene una ragione,” rispose con filosofia
Alan. “I tempi cambiano.”
“Mi mancherete,” disse Estelle, ricacciando indietro le
lacrime. Aveva sempre amato l’atmosfera di quella piccola
libreria accogliente e aveva trascorso molte ore felici in compagnia
degli ospitali proprietari, parlando di libri davanti a
una tazza di tè e a una bella fetta di Battenberg.
Mary scosse la testa, sconsolata. “Oh, abbiamo passato
momenti meravigliosi qui,” sospirò guardando dalla vetrina
il negozio abbandonato, con le pareti spoglie e le file di scaffali
vuoti. “Sai cosa mi mancherà di più?” confidò, gli occhi
lucidi dietro gli enormi occhiali. “Le chiacchiere quotidiane
con i clienti. Tutti pensano che leggere sia un’attività solitaria,
ma non deve esserlo per forza,” disse con decisione.
Estelle annuì, mentre Mary proseguiva, accalorandosi
sempre di più. “I libri migliori dovrebbero essere condivisi e
discussi, dibattuti. È una tradizione vecchia di secoli. La
gente ha sempre amato le storie. Oh, questo posto mi man-

cherà così tanto!” singhiozzò, asciugandosi gli occhi con un

fazzoletto di carta già umido.
Estelle avvolse Mary in un abbraccio rassicurante. Parole
sante, pensò, ricordando le conversazioni sul loro libro di
Jane Austen preferito o sui rispettivi meriti di Rochester e
Heathcliff in qualità di eroi romantici. Certo, si era ben guardata
dal confessare a Mary che stava leggendo Ten Sweet
Lessons, rifletté con un vago senso di colpa al ricordo del
tascabile sgualcito nascosto in fondo alla borsa.
All’improvviso Estelle si scostò bruscamente da Mary,
quasi avesse preso la scossa. “Trovato!” esclamò, con gli
occhi che brillavano e un’espressione raggiante.
“Trovato cosa, tesoro?” le chiese Mary, guardando il marito
con aria perplessa. Alan si limitò ad alzare le spalle e
fissò preoccupato Estelle, come se fosse impazzita.
“La soluzione ai miei problemi,” annunciò Estelle eccitata.
“Mary Bainbridge,” aggiunse gettandole di nuovo le
braccia al collo, “sei un genio!”

10 commenti su “Il club delle cattive ragazze: recensione

  • Lascia un commento