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Amici?Mai

Pubblicato dicembre 29, 2011 da labiondaprof

No, non voglio parlare della canzone strappalacrime di Venditti, ma del rapporto insegnante-alunno.

Ieri sera la mia terza aveva organizzato una pizza. E mi ha invitato, insieme ad un’altra insegnante. La collega non è venuta (aveva un altro impegno) e io, data la febbre della biondina, ero un po’ impegnata… diciamo così. Però sono andata a salutarli, a far loro gli auguri per l’anno nuovo e a bere il caffé. Mi sono fermata una mezz’oretta, dato che la pizzeria è a 3 minuti di strada da casa, quindi ero reperibile dal borgomastro e operativa con la biondina in pochissimo tempo.

Mi sono divertita a chiacchierare con loro, adesso non sono più i bimbi che ho preso in prima: ieri sera le ragazze erano truccate leggermente, tutte carine e fresche, mentre i maschi erano in tiro, con le felpe regalate per Natale e il gel sui capelli. Sono cresciuti e hanno con me la confidenza che si è creata in tre anni di lezioni quotidiane, possiamo parlare di molti argomenti. Però dopo mezz’ora sono tornata a casa volentieri e li ho lasciati alla loro serata. Io sono la  loro insegnante, non una loro amica. Sono la loro insegnante, non uno di loro. Leggi il resto di questo post → r
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Certe cose non cambiano mai

Pubblicato dicembre 3, 2012 da labiondaprof

Ecco, diciamo che ci ho preso gusto, alle presentazioni.

Questa volta, sarò profeta in patria: presenterò il libro in un bel negozio di abbigliamento, proprio in centro, sotto i portici colleoneschi…

Presentazione Il manuale del perfetto marito Les Folies

Non solo: a rendere più simpatico il tutto, mi intervisterà un mio caro amico presentazione 8 dic 2012

Ci conosciamo dall’asilo, e siamo stati compagni di classe all’asilo, alle elementari, e infine al Liceo… tra i mille ricordi che condividiamo, questi mi sembrano i più adatti all’occasione.

Rewind:

C’era una volta una bambina bionda, che amava giocare con le bambole, vestirle da principesse e inventare delle storie; questa bambina bionda aveva iniziato presto a leggere, e a scrivere. Il suo papà spesso le regalava dei libri, soprattutto il sabato pomeriggio, quando si andava a fare una passeggiata in centro a Bergamo (già, i centri commerciali non esistevano, e i negozi in centro città erano belli). La bambina bionda scriveva dei bei temini, a scuola; un giorno, proprio con un tema, vinse in premio un’enciclopedia, messa in palio da una Banca locale per la composizione più bella.

Negli stessi anni, un bambino castano giocava con le macchinine, e con il meccano. Ma soprattutto amava giocare “a vendere”. Il bambino castano e la bambina bionda giocavano spesso insieme: erano nella stessa classe, e si vedevano anche in cortile. Quei bei cortili condominiali, condivisi con tanti bambini: lui con i maschi, lei con le altre bimbe e i pattini ai piedi. Un giorno a scuola, durante l’intervallo, il bambino castano regalò una busta bianca alla bambina bionda. Era davvero una busta preziosa: conteneva un bigliettino con la dichiarazione di un piccolo sentimento e una moneta da 50 lire. Omaggio alla piccola bionda? Tentativo di far colpo? Corteggiamento moderno, del tipo tieni, comprati quello che vuoi? Non fu mai chiarito, ma la piccola bionda non si fece intenerire: era solo l’età dell’amicizia, e andò benissimo così.

Gli anni passavano. I due bambini, divenuti ragazzini, crescevano momentaneamente divisi negli anni delle medie, ma si ritrovarono alle superiori: stesso Liceo, stessa classe. E ancora: alla bionda piaceva leggere e scrivere, anche se aveva scelto il Liceo Scientifico, e a lui piacevano la matematica, i numeri e i computer…

Anni dopo, la scelta dell’Università fu scontata: Lettere per lei, Economia per lui. Milano per lei, Brescia per lui. Con altri amici si ritrovavano periodicamente: compleanni, feste, ritrovi allargati ai flirt di lui e di lei. Lui si fidanzò presto con una ragazza seria e tenace. Lei, ecco, lei no.

Gli anni passarono: vennero la laurea, i primi passi nel mondo ostile del lavoro, il matrimonio per entrambi, e i figli.Non si erano mai persi di vista, però, e lei lo scelse come family banker. Del resto chi meglio di lui? Lui che a soli diciotto anni possedeva già una 24 ore degna di questo nome?

Sabato, tutto ciò verrà rievocato, insieme alla presentazione del libro, e sarà molto bello.

 

Cinque buoni motivi per far leggere Harry Potter a scuola

Pubblicato settembre 13, 2016 da labiondaprof

Insegno da un numero sufficiente di anni per aver capito che stimolare alla lettura i miei alunni è cosa buona e giusta. Purtroppo non è altrettanto facile. I libri imposti? Giammai! Meglio i libri suggeriti, all’interno di una nutrita lista. La scheda di narrativa? Giammai! Piuttosto, ogni alunno presenta ai suoi compagni il libro che ha letto, poi loro gli pongono delle domande (dalla più classica ti è piaciuto? alla più romantica che personaggio del libro vorresti essere?)

Il fantasy piace sempre: dal Signore degli anelli a La storia infinita, all’italiana Licia Troisi con le sue storie del mondo emerso. Quello che però piace più di tutti gli altri è sempre lui, il maghetto: Harry Potter.

Il 23 settembre uscirà, per Salani, l’ottava avventura del personaggio della scrittrice J.K. Rowling. Il titolo è   Harry Potter e la maledizione dell’Erede

Ascoltando e osservando i miei alunni, ho capito che sono almeno 5 i motivi per cui la saga di Harry Potter piace così tanto, da anni.

  1. Il protagonista è un ragazzino, uno che all’inizio delle sue avventure ha all’incirca l’età dei miei alunni. Inoltre, deve affrontare un sacco di sfide: è orfano, scopre di essere un predestinato, frequenta una scuola di magia ed affronta dei nemici molto potenti. Spesso prova paura, ma la vince con il coraggio e la determinazione. (Da insegnante, direi che nelle sue avventure è presente in modo significativo la struttura della fiaba, e anche quella del romanzo di formazione)
  2. Le storie di Harry Potter sono piene di avventura, eventi inaspettati, colpi di scena e adrenalina
  3. La saga è ambientata nel mondo della scuola, con i suo personaggi e i suoi rituali: gli insegnanti simpatici, quelli severi, quelli autorevoli. Lo studio, le aule, gli esami. Hogwarts è una scuola di magia, ma pur sempre una scuola, simile a quella che i miei alunni frequentano ogni giorno
  4. Harry non è solo, ma ha degli amici sinceri. La lealtà del legame di amicizia tra Harry, Ron ed Hermione, che sopravvive alla diversità dei caratteri e agli anni, ha un forte ascendente in un’età nella quale gli amici e il gruppo diventano più importanti della famiglia
  5. Lo stile della scrittrice è semplice ma non banale, ricco di invenzioni linguistiche e di parole nuove: inarrivabile il vocabolo Babbano, per esempio, per indicare chi è estraneo al mondo della magia

 

Harry Potter e la maledizione dell'erede

Cosa fare a Carnevale a Bergamo e Milano

Pubblicato febbraio 6, 2016 da labiondaprof

Tempo di Carnevale, tempo di maschere e di travestimenti.

Mia figlia, come molte altre bambine della sua età, adora Elsa, la principessa di ghiaccio del film Frozen. Quindi, con poca fantasia ma tanto entusiasmo, per il secondo anno di seguito, la vestirò di azzurro, le sistemerò i capelli con una treccia nordica e bionda, la cospargerò di collane coroncine e braccialetti a tema e poi la passerò nel glitter (stile cotoletta alla milanese). Lei soddisfatta, con mille altre Else coetanee, io assolta dal pensare anche quest’anno al suo costume. Le sfilate abbondano, qui nella provincia orobica, ma noi, viste le previsioni, sceglieremo solo feste al chiuso, per la domenica.

Un’idea interessante è il Carnevale a Teatro: al Teatro Donizetti, a Bergamo, ci saranno diverse iniziative. Giochi, laboratori ludici, spettacoli, per il programma completo qui:

http://www.gaetano-donizetti.com/DoniEditorial/newsCategoryViewProcess.jsp?myAction=&page&editorialID=4921

Al Teatro Sociale di Città Alta (bellissimo e restaurato da poco, per chi non l’avesse mai visto, vale la pena), L’Omino della pioggia.

Ecco poi un’altra idea davvero accattivante, un po’ meno vicina, a Milano. C’entra Elsa? Ovviamente sì…

Dal 7 al 28 febbraio presso il MIC – Museo Interattivo del Cinema, Fondazione Cineteca Italiana presenta

CINECLUB FAMILY, 3 appuntamenti dedicati a tutta la famiglia e FROZEN KARAOKE, appuntamento speciale con accesso consentito solo agli under 18.

Frozen – Il regno di ghiaccio in versione karaoke sarà il primo eccezionale appuntamento e si terrà domenica 7 febbraio: sarà presente in sala la protagonista Elsa in carne ed ossa che canterà insieme al pubblico.

L’ingresso, solo per questo appuntamento, sarà consentito SOLO agli under 18. Travestimento obbligatorio!
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Nelle successive domeniche, altri tre film, con ingresso libero a tutti.
I film sono:

Domenica 14 febbraio
h 15.00 Oops ho perso l’arca (Toby Genkel, Sean McCormak, Germania, 2014, animaz., 85′)
Metafora delle frontiere del nostro mondo, aperte ad alcuni ma spesso chiuse ai meno fortunati, che devono quindi ricorrere a metodi alternativi di fuga tra mille pericoli.

Domenica 21 febbraio
h 15.00 Il viaggio di Arlo (Peter Sohn, USA, 2015, animaz., 100′)
Viaggio iniziatico di Arlo, un giovane e incerto dinosauro, e la sua amicizia con un giovane umano di nome Spot.

Domenica 28 febbraio

h 15.00 Il libro della vita (Jeorge R. Gutierrez, USA, 2014, animaz., 95′)
Il giovane Manolo è diviso tra il soddisfare le aspettative della sua famiglia e il seguire le volontà del suo cuore.

Buon Carnevale.

Tutte pazze per Frozen!

Pubblicato gennaio 4, 2015 da labiondaprof

Premesso che se non avete mai sentito la canzone-inno Let it go, cantata da Elsa in Frozen, forse vivete nelle caverne o su una colonna come un anacoreta, direi che possiamo spendere due parole sul successo planetario della Disney.

Il film è uscito nelle sale un anno fa, ha incassato più di ogni altro film della Disney (un miliardo e trecento milioni di dollari in tutto il mondo); il merchandising ha permeato il mondo dell’infanzia, soprattutto delle bambine dai tre ai nove-dieci anni, e la bambola Elsa, negli Usa, è stata la più venduta per Natale, superando anche la mitica, ma un po’ datata Barbie.

Come sapete, la storia di Frozen si ispira alla Regina delle nevi, una fiaba di Andersen. In realtà,  con un’operazione simile a quella effettuata con il film Rapunzel, la storia originaria fornisce solo alcuni spunti e suggestioni, perché poi tutta la trama prende ben altra direzione. Non ci sono più due amici, Kay e Gerda, bensì due sorelle, Elsa e Anna; non c’è più il personaggio cattivo della Regina delle nevi perché la stessa Elsa è la “buona” e la “cattiva”. Elsa, infatti, è una buona figlia e una sorella gentile, ma non sa gestire il suo potere e quindi può fare del male, anche e soprattutto alle persone che ama di più.

Rimane, della storia di Andersen, la potente immagine di un cuore ghiacciato, cioè di un cuore che non sa amare. Nella fiaba di Andersen, la Regina delle nevi ghiaccia il cuore di Kay, e solo l’affetto di Gerda potrà liberarlo dall’incantesimo; nel film della Disney, invece, Elsa ghiaccia senza volerlo il cuore di Anna, e solo l’amore reciproco tra le due sorelle sarà in grado di rompere il ghiaccio che paralizza Anna e la conduce quasi alla fine.

Elsa, fin da piccola, ha il potere di creare il ghiaccio e la neve ma non sa controllarlo, né gestirlo; per questo motivo si isola dal mondo, e soprattutto dalla sorellina. Anna cresce sola, con il ricordo dell’affetto infantile e dei giochi tra sorelle.

Sarà lei ad affrontare la grande prova: cercare Elsa, che è scappata e si è isolata nel suo castello di ghiaccio, per convincerla a tornare a palazzo e riprendere il suo ruolo di regina (anche perché, come è tipico delle fiabe, i genitori ben presto sono morti). Anna ha un aiutante, anzi tre: un giovane che vende ghiaccio, la sua renna e un simpatico pupazzo di neve, creato da Elsa e simile a quello che costruivano da piccole, di nome Olaf.

Anche Elsa affronta una grande prova: smettere di nascondere il suo potere per paura delle conseguenze, ed impugnarlo con forza, imparando ad usarlo per costruire invece che per distruggere.

Cosa piace così tanto ai bambini, e alle bambine?

Il valore dei legami familiari: alla fine, il gesto di vero amore che salva Anna non è il bacio di un principe (impostore e interessato, tra l’altro), ma il ritrovarsi delle due sorelle.

Il percorso di crescita di entrambe le sorelle: come in tutte le fiabe, alla fine il bene trionfa e il male viene sconfitto; inoltre, le due protagoniste hanno affrontato le loro paure e sono cresciute. Elsa non nasconde più il suo potere e lo usa per fini positivi, mentre Anna non si illude più che ci si possa innamorare in un giorno, perché ha capito che il vero amore si costruisce con il tempo e la fiducia.

In particolare, la canzone-inno di Elsa, quella che anche la Biondina canta a squarciagola da mesi, Let it go, è un inno alla conoscenza di se stessi, alla capacità di accettare le proprie caratteristiche, di essere un individuo autentico e non quello che gli altri si aspettano. Il processo di “liberazione” dalle aspettative sociali, familiari, comportamentali di Elsa è travolgente: mentre canta, crea un palazzo di ghiaccio e ne fa la sua casa, contemporaneamente si libera di un vestito regale ma austero, e di una pettinautura raccolta che costringe i suoi capelli. Quindi, con i capelli più sciolti e un vestito azzurro cielo, scollato e con un favoloso spacco da diva dei musical, Elsa è pronta a dire del suo potere “Non è un difetto, è una virtù…”.

Altro che principe azzurro: quello arriverà, o forse no, ma ormai la ragazza non ha più paura, e può vivere la sua vita.

Come, del resto, in tutte le fiabe che si rispettino.

Piace solo alle bambine? Non direi, guardate qui

 

I ragazzi della 56° strada (Outsiders)

Pubblicato dicembre 16, 2014 da labiondaprof

Ero davvero piccola quando vidi per la prima volta questo film: mi innamorai del film, della storia (poi lessi anche il libro) e, ovviamente di Matt Dillon. Il suo poster regnò nella mia cameretta per almeno un paio di inverni.

Una storia forse un po’ scontata, ma c’è tutto quello che può piacere ad un adolescente, maschio o femmina che sia: le bande rivali, la forza del gruppo, l’amicizia, il rapporto con l’altro sesso, l’importanza di un libro, una poesia o un film. E quel destino che fa sì che alcuni escano indenni dall’adolescenza, ed altri no.

Crescere è difficile, è bellissimo e sconvolgente insieme. Forse perché vivo metà giornata con adolescenti e preadolescenti, ma io non lo dimentico mai. Provo tenerezza per l’adolescente che sono stata, e guardo i miei alunni con occhi attenti, cercando di cogliere qualsiasi segnale che mi dica che, comunque, sta andando tutto bene.

In questi giorni, poi, è un pensiero che mi accompagna per tutto il giorno.

Così mi sono ricordata di questo film, a cui non pensavo da molto tempo. Gli amici con cui lo vidi molto tempo fa sono cresciuti, come me. Li incrocio ancora, facciamo vite diverse, ma quando li vedo sorrido. Uno solo non c’è più, e da molti anni. D. se ne andò giovanissimo, come se fosse in un film, e invece non lo era.

Nothing gold can stay

Nature’s first green is gold,
Her hardest hue to hold.
Her early leaf’s a flower;
But only so an hour.
Then leaf subsides to leaf,
So Eden sank to grief,
So dawn goes down to day
Nothing gold can stay.

Lo sposo perfetto di primavera

Pubblicato aprile 1, 2014 da labiondaprof

E niente, sono anche su Diva e Donna

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1) Partendo dal presupposto che nessun uomo, né nessun marito, cambierà mai per amore di una donna, e questa verità assoluta andrebbe scolpita sulle tavole del mondo Sinai e sulla copertina di ogni Vogue Sposa, il passaggio dalla condizione di fidanzato a quella di marito, che per la Legge italiana e per la Chiesa si svolge in una cerimonia più o meno veloce, in realtà deve attraversare diversi passaggi:

  • Abituarsi alla fede al dito. Alcuni mariti trovano la cosa impossibile, altri ardua ma comunque fattibile, pochissimi sfoggiano con leggerezza e simpatica disinvoltura quel cerchiettino d’oro che urla al mondo Sì, sono un uomo incastrato…pardon, sposato.
  • Iniziare, se già non lo si è fatto nella fase di fidanzamento, a parlare con il noi, e non con il solo pronome io. No, non è un plurale maiestatis, e il marito non è pronto per ascendere al soglio pontificio, semplicemente, deve capire che alla domanda “Vieni a giocare a calcetto venerdì?”, postagli da un amico, egli non può più rispondere “Credo di sì, penso che sarò libero”, ma deve riformulare la frase in modo che suoni più o meno così “Credo di sì, pensiamo di essere liberi”. Cioè, lei non ha fissato impegni per la coppia, e lui potrà giocare, sotto lo sguardo vigile della mogliettina che lo accompagnerà, applaudendo ogni suo tocco di palla.
  • La fedeltà non è un optional: non si ammettono deroghe, né eccezioni. Il marito fedifrago, come dico nel mio libro, è l’unico che una moglie può sperare di cambiare: lo porta indietro dove lo ha trovato e ne sceglie un altro.
  • Un marito serve ad alcune attività specifiche: per una legge non scritta è il marito che si occupa delle automobili (controlli, revisioni, visite dal meccanico), degli elettrodomestici, della cantina, del garage, del conto in banca, della manutenzione del giardino, della spazzatura, delle biciclette dei figli. E la moglie? Ah, be’, lei è la Regina della casa.

2) Lo sposo, durante l’intera giornata delle nozze, deve avere chiaro un solo e fondamentale obiettivo: non eclissare la sposa. La regina della festa è lei: il suo vestito, la sua acconciatura, il suo trucco, la sua radiosità, la sua commozione. Lo sposo intelligente capisce da sé che il suo ruolo è di contorno; la formula “principe consorte” esemplifica al meglio la sua condizione. Lo sposo deve essere bello ma non più della sposa, felice ma non radioso come lei, commosso, certo, ma guai se lui piange e lei non spreme nemmeno una lacrimuccia.. Insomma, lui è il contorno, lei il piatto forte.

3) Lo sposo non deve mai rubare la scena alla sposa. Perciò, basso profilo, niente sceneggiate, niente ex che si precipitano in chiesa con un bambino al collo strillando Questo matrimonio non s’ha da fare… Inoltre egli deve proibire agli amici di organizzare scherzi di cattivissimo gusto quali lancio della giarrettiera, dolci a sorpresa dalla forma più che ambigua, caccia al tesoro per trovare il regalo, consistente in migliaia di monetine seppellite in giardino sotto il roseto pieno di spine.

Ovviamente lo sposo non deve alzare il gomito, né mettersi a raccontare barzellette osée alla bisnonna centenaria, o all’amica più bella della sposa. Né farsi fotografare mentre brinda con la suddetta amica, appena fidanzata, e l’aria ebete, ovviamente

4) Altre malizie e strategie: lo sposo perfetto sussurra alla sposa, accogliendola sull’altare, la stessa frase che il principe William d’Inghilterra ha detto alla sua Kate, Sei bellissima. Non sono accettabili altre frasi quali Quanto cavolo mi costeranno tutti questi fiori! o ancora Hai fatto ritardo anche oggi, sei sempre la solita. O Ti avevo detto di non invitare quel tuo ex idiota, non mi interessa se ha sposato tua cugina, lo butto fuori.

Lo sposo inoltre deve sfoggiare uno sguardo perennemente ammirato e rapito dalla bellezza, dalla grazia e dal fascino della sposa. Anche se a fine serata lei si toglierà le scarpe, ballerà a piedi nudi la taranta e inizierà a raccontare dell’addio al nubilato, farneticando di ballerini cubani e cubisti australiani. In casi estremi le chiuderà la bocca con una serie di baci roventi e la trascinerà in giardino, gettandola, sempre con lo sguardo rapito, sotto l’acqua fresca della fontanella.

In fondo, questo ricorderanno tutti gli invitati: la sposa era bellissima, e lui tanto innamorato.

Il club delle cattive ragazze: recensione

Pubblicato ottobre 27, 2013 da labiondaprof

Il 23 ottobre è uscito  Il club delle cattive ragazze.

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Grazie alla Feltrinelli, l’ho avuto in anteprima e l’ho letto, devo dire con una certa curiosità. Il chick lit mi piace molto; terrò anche un corso di Scrittura in rosa, di cui parlerò meglio a breve… e da Bridget Jones alla Becky della saga I Love shopping, i libri rosa mi divertono e mi rilassano.

Il club delle cattive ragazze parte da un’idea originale: scrivere della nuova moda della letteratura erotica facendone uno spunto narrativo per un classico romanzo rosa. Una sorta di operazione metalinguistica, direbbero i semiologi e i semiotici.

La protagonista, Estelle, è separata, ha un figlio adolescente e gestisce un piccolo caffé. Gli affari non vanno benissimo, così decide di provare ad attirare nuovi clienti organizzando un book club. Il primo incontro non è un successone: ci sono solo quattro persone. Sue, con un matrimonio trentennale e tanto tempo da gestire come neopensionata; Rebecca, una giovane insegnante di Storia sposata da un solo anno ma già annoiata dalla routine di coppia; Gracie, una convinta neofemminista che lavora in una biblioteca; Reggie, un impacciato giovanotto che si veste fuori moda e sta svolgendo una tesi di dottorato, unico motivo per cui si è iscritto al book club.

Il libro del primo incontro è Tess D’Uberville, un classico ma non esattamente un libro che suscita trasporto o identificazione con la protagonista, una povera ragazza a cui capitano solo tragedie… Estelle, aiutata da un equivoco, propone come libro per il secondo incontro il best seller del momento, Ten sweet lessons (una sorta di Cinquanta sfumature di grigio, lo si intuisce perfettamente), che lei stessa sta già leggendo. Il secondo incontro si rivela divertente, ricco di spunti e capace di far interagire davvero i partecipanti.

Nasce così, nel gruppo, l’idea di leggere solo libri di letteratura erotica, anche classici, come il famosissimo L’amante di Lady Chatterley.

Da questo momento in poi, ogni personaggio vivrà dei radicali cambiamenti: Sue affronterà nodi irrisolti con il marito, Rebecca uscirà dall’apatia da novella sposina, Gracie e Reggie scopriranno insperate affinità.

Ed Estelle? Anche lei vivrà novità nella sua vita sentimentale, e … ma non svelerò altro della trama.

Concludo invece con un estratto, tratto dal primo capitolo:

Estelle, quarantadue anni, aveva aperto il Café Crumb
cinque anni prima, subito dopo il divorzio. Il matrimonio le
aveva lasciato l’impressione che la sua identità fosse stata
progressivamente inghiottita dal ruolo di moglie e madre,
così quando lei e Ted si erano separati (rendendosi conto che
se la cavavano molto meglio come amici che come marito e
moglie), Estelle aveva deciso di fare qualcosa per sé.
E l’aveva fatto, si disse piena di orgoglio, guardando il
caffè con le sue tovaglie a quadri bianchi e rossi, una gerbera
rossa in un vaso bianco su ogni tavolo. Si stava avvicinando
l’orario di chiusura e tutto era pulito e ordinato, la vetrina
con l’invitante selezione di torte e pasticcini ormai vuota.
Non sarà nulla di speciale, però è mio, pensò Estelle
compiaciuta.
Ma per quanto tempo ancora? si chiese con un brivido
contemplando di nuovo le cifre deprimenti che sembravano
oscillare davanti ai suoi occhi stanchi.
Certo, aveva alcuni clienti fissi – gli uomini d’affari che si
concedevano un latte macchiato e un croissant prima di affrontare
la trasferta giornaliera al centro di Bristol; le mamme
sprint, giovani, belle e impeccabili, che si fermavano a
fare quattro chiacchiere, bere un tè verde e sbocconcellare
un muffin ipocalorico dopo aver accompagnato i figli a
scuola; l’orda in pausa pranzo che divorava montagne di
sandwich; e i pensionati del pomeriggio, fedeli all’irrinunciabile
rito del tè con i pasticcini –, eppure a quanto pareva non
bastavano più.
Se fosse stata costretta a chiudere, concluse Estelle osando
a malapena prendere in considerazione quell’eventualità,
avrebbe perso anche la casa, l’appartamento sopra il locale
dove viveva insieme a Joe. Povero Joe. Era un bravo ragazzo,
ma stava attraversando quella fase in cui cresceva a vista
d’occhio e i vestiti non gli entravano per più di un mese. Lui

cercava di non chiedere troppo, però Estelle sapeva come
funzionava a quell’età: per essere accettato dovevi avere le
scarpe da ginnastica giuste, il modello di cellulare appena
uscito, la console di ultima generazione. Tutte cose terribilmente
costose.
Con una certa ansia, Estelle prese una fetta di torta al limone,
ne staccò un pezzetto e se lo mise in bocca. “Mmm,”
mormorò soddisfatta. Era soffice, con un sapore deciso e delizioso,
preparata a regola d’arte. Almeno le sue doti di pasticciera
erano fuori discussione. Doveva soltanto trovare il
modo di dimostrarlo, convincere la gente a varcare la soglia
del caffè…
Un movimento sull’altro lato della strada catturò l’attenzione
di Estelle, che guardò oltre la vetrina cosparsa di goccioline
di condensa. Fuori era già buio, ma nella luce ambrata
del lampione vide due persone uscire dalla Bainbridge
Books, la libreria indipendente del quartiere.
Con un tuffo al cuore, Estelle riconobbe i proprietari,
Mary e Alan Bainbridge, che chiudevano la porta del negozio
per l’ultima volta. Sul marciapiede c’erano alcuni scatoloni
di libri – quelli di cui non erano riusciti a sbarazzarsi
nemmeno durante i saldi per cessata attività –, e anche da
lontano Estelle si accorse che, mentre Alan tirava fuori le
chiavi dalla tasca, Mary aveva le lacrime agli occhi.
D’istinto, Estelle prese una delle rigide scatole bianche
da pasticceria dallo scaffale alle sue spalle, quelle riservate ai
clienti che spendevano molto, e iniziò a riempirla con un assortimento
di dolci: due fette di torta alle noci pecan, una
generosa porzione di torta allo zenzero, un paio di ciambelle
ricoperte di glassa e confettini colorati. Oh, e anche un paio
dei suoi brownies speciali, quelli al doppio cioccolato. Alan
ne andava matto.
Estelle afferrò in fretta la scatola e si precipitò fuori facendo
tintinnare la campanella alle sue spalle.

“Vi ho portato questi,” li salutò mentre attraversava la
strada, e consegnò la scatola a Mary.
“Grazie, Estelle,” disse la donna con voce rotta. “Sei
molto gentile.”
“Vero,” le fece eco Alan, prendendo la scatola dalle mani
della moglie e sbirciando all’interno.
“Mi dispiace così tanto che ve ne andiate,” continuò
Estelle con aria impotente, desiderando poter fare di più.
Mary e Alan gestivano la Bainbridge Books da oltre trent’anni,
ma ormai non potevano più permettersi di restare aperti.
Si sarebbero trasferiti nel Devon per stare vicino ai nipoti e,
anche se Estelle sapeva che già da tempo progettavano di
ritirarsi dagli affari, di sicuro non era così che volevano farlo
– senza riuscire a vendere la loro attività, obbligati a chiudere
per mancanza di clienti. Uno spaventoso avvertimento di
quello che poteva succedere anche a lei se la situazione non
fosse migliorata alla svelta.
“Be’, dobbiamo farcene una ragione,” rispose con filosofia
Alan. “I tempi cambiano.”
“Mi mancherete,” disse Estelle, ricacciando indietro le
lacrime. Aveva sempre amato l’atmosfera di quella piccola
libreria accogliente e aveva trascorso molte ore felici in compagnia
degli ospitali proprietari, parlando di libri davanti a
una tazza di tè e a una bella fetta di Battenberg.
Mary scosse la testa, sconsolata. “Oh, abbiamo passato
momenti meravigliosi qui,” sospirò guardando dalla vetrina
il negozio abbandonato, con le pareti spoglie e le file di scaffali
vuoti. “Sai cosa mi mancherà di più?” confidò, gli occhi
lucidi dietro gli enormi occhiali. “Le chiacchiere quotidiane
con i clienti. Tutti pensano che leggere sia un’attività solitaria,
ma non deve esserlo per forza,” disse con decisione.
Estelle annuì, mentre Mary proseguiva, accalorandosi
sempre di più. “I libri migliori dovrebbero essere condivisi e
discussi, dibattuti. È una tradizione vecchia di secoli. La
gente ha sempre amato le storie. Oh, questo posto mi man-

cherà così tanto!” singhiozzò, asciugandosi gli occhi con un

fazzoletto di carta già umido.
Estelle avvolse Mary in un abbraccio rassicurante. Parole
sante, pensò, ricordando le conversazioni sul loro libro di
Jane Austen preferito o sui rispettivi meriti di Rochester e
Heathcliff in qualità di eroi romantici. Certo, si era ben guardata
dal confessare a Mary che stava leggendo Ten Sweet
Lessons, rifletté con un vago senso di colpa al ricordo del
tascabile sgualcito nascosto in fondo alla borsa.
All’improvviso Estelle si scostò bruscamente da Mary,
quasi avesse preso la scossa. “Trovato!” esclamò, con gli
occhi che brillavano e un’espressione raggiante.
“Trovato cosa, tesoro?” le chiese Mary, guardando il marito
con aria perplessa. Alan si limitò ad alzare le spalle e
fissò preoccupato Estelle, come se fosse impazzita.
“La soluzione ai miei problemi,” annunciò Estelle eccitata.
“Mary Bainbridge,” aggiunse gettandole di nuovo le
braccia al collo, “sei un genio!”

Intervista a Giulia Orecchia: Le Fiabe di Calvino per i più piccini

Pubblicato aprile 22, 2013 da labiondaprof

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Il 19 marzo 2013 è stato pubblicato da Mondadori Fiabe italiane di Calvino-Fiabe per i più piccini, illustrato da Giulia Orecchia.

Ammiro davvero molto il suo lavoro, cosi le ho scritto e le ho chiesto se era disponibile per un’intervista.

E stata davvero gentilissima e cosè ecco qui la mia intervista a Giulia Orecchia.

Quando e come ha capito che “da grande” le sarebbe piaciuto illustrare libri per lavoro?

Quando leggevo il Corrierino ammirando gli illustratori uno per uno, o a 11 anni quando ho partecipato al concorso del Corriere dei Piccoli per la copertina di Natale, senza vincere, o quando negli intervalli della Scuola Politecnica del Design (dove insegnavano progettazione, grafica, colore e tipografia Pino Tovaglia, Umberto Fenocchio, Narciso Silvestrini, Bruno Munari, Max Huber, Heinz Weibl…) passavo il mio tempo nella libreria Favelliana, piena di libri per bambini della Emme Edizioni.

Quale percorso di formazione ha seguito per diventare illustratrice?

Non esisteva al tempo in Italia alcun percorso specifico. Dopo il liceo artistico e la scuola di grafica ho cominciato a lavorare come assistente, grafica e illustratrice. Ho imparato dagli illustratori che ho conosciuto e dal loro lavoro, e lavorando sul campo.

Quali difficoltà ha dovuto affrontare inizialmente e quando ha capito che ormai poteva vivere del suo lavoro?

Ho lavorato come assistente in uno studio dove si facevano cartoni animati, in uno studio grafico, come art director e grafico per una casa editrice di libri scolastici e come illustratrice tuttofare. A 24 anni sono andata a vivere per conto mio, e da quel momento mi sono buttata a capofitto nel mondo, vivendo del mio lavoro: per forza. Erano anni nei quali ciò era possibile. Ho cominciato collaborando con riviste, agenzie di pubblicità e studi di grafica. Il primo libro è stata un’occasione per cominciare a lavorare nell’editoria per l’infanzia e per fortuna sono riuscita a coglierla al volo, forse perché ci tenevo così tanto… Le esigenze delle case editrici comunque erano allora molto diverse da quelle attuali. L’editoria per ragazzi è diventato l’unico settore nel quale lavoro solo da quando editoria periodica e pubblicità sono entrate nell’ombra della crisi.

Qual è il  libro che le è rimasto impresso da lettrice-bambina e quale invece quello che ha amato di più come illustratrice?

Preferirei dire “Uno dei libri che…” , mi riesce troppo difficile scegliere, amo così tanti libri per così tanti motivi diversi… però potrei rispondere: da bambina La famosa invasione degli Orsi in Sicilia di Dino Buzzati e da illustratrice La famosa invasione degli Orsi in Sicilia di Dino Buzzati

Quali colleghi italiani apprezza particolarmente? E quali stranieri?

Tutti coloro che lavorano con professionalità e passione. Molti sono grandi amici, e da tutti loro c’è qualcosa da imparare. E’ un mestiere un po’ particolare: disegnare tutto il giorno, spesso in solitudine, porta a starsene immersi in un mondo interiore di immagini, dove la parola non è sempre necessaria. Tra noi ci si capisce e c’è molta più complicità che rivalità.

Il 19 marzo è uscito esce il libro Fiabe italiane di Calvino-Fiabe per i più piccini. Può raccontarci quali fiabe sono state scelte dalla raccolta di Calvino e quale di queste le è piaciuto di più illustrare?

Certo! Gallo Cristallo, Le ochine, Il bambino nel sacco, Cecino e il bue, I due gobbi.

Illustrare le fiabe italiane raccolte da Calvino è stato un grandissimo onore e piacere! La mia fiaba preferita (da illustrare) è stata quella del gallo, perché mi piace tantissimo disegnare gli animali.

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Il suo prossimo progetto? 

Sto lavorando a un testo meraviglioso di Andrea Camilleri per bambini, per Mondadori. Anche qui, grandissimo onore e piacere.

Quale consiglio darebbe ad un giovane che aspira a diventare illustratore?

Di studiare molto, avere coraggio e costanza. E di ragionare attentamente sul fatto che al giorno d’oggi solo pochi riescono a fare l’illustratore come mestiere del quale poter vivere. Si possono fare libri come opere d’arte: è un piacere grande, tanta soddisfazione, tanto fascino, davvero! Ma non è facile farne un mestiere vero e proprio…

Ha svolto e svolge tuttora laboratori didattici e letture animate con i bambini. Considera importante questa attività? Cosa le dà questa esperienza?

Sì, è bellissimo lavorare insieme ai bambini, sono degli illustratori pieni di entusiasmo, creatività e competenza. Si impara molto dalla loro visione del mondo, aiuta a fare libri nella loro stessa lingua. Io spero di riuscire a trasmettere ai bambini e ai loro insegnanti la consapevolezza che l’arte è un grande piacere e uno spazio di libertà e scoperte. Che l’arte rende visibile l’invisibile, come diceva Paul Klee.

Cosa consiglierebbe a due genitori che vogliano far nascere nel loro bambino l’amore e l’abitudine alla lettura?

Non posso dare una risposta, non sono titolata e vi spiego perché.

Pensavo fosse importante proporre ai bambini libri, leggere libri, trasmettere amore per la lettura, soprattutto con l’esempio. Bene.

Ho riempito la camera dei miei bambini di libri, ho mostrato loro libri, ho letto loro libri ogni sera per 7 anni, da quando ne avevano 2 fino ai 9, senza imporglielo eh, con piacere reciproco. Cerco di dare l’esempio: leggo molto nei momenti liberi, leggo qualche pagina ogni sera prima di addormentarmi, regalo libri. Quando non so cosa fare faccio un salto in una libreria. Ho amici che scrivono, illustrano, fanno editing, sono editori, aprono librerie. Ascolto Fahrenheit e vado al festival di Mantova. Ebbene: i miei figli sono dislessici, non amano i libri e non hanno nessuna abitudine alla lettura. E per conto loro avranno letto sì e no alcuni dei libri obbligatori per la scuola…

La ringrazio della cortesia, e buon lavoro!

La ringrazio molto anch’io!

Giulia Orecchia

Enzo Jannacci: Romanzo popolare, Vincenzina e la fabbrica

Pubblicato marzo 31, 2013 da labiondaprof

Enzo Jannacci mi piaceva, da sempre. E il film Romanzo popolare mi ha commosso, fatto divertire. E ancora commosso. Un Tognazzi superlativo, una Muti bellissima e giovanissima, un Placido giovane e già bravo. E una Milano mai così grigia, umida, popolare. Chi, come me, ha preso il treno per Milano per anni e anni, sa cosa sono la nebbia, il grigio, i binari di Lambrate o Centrale, la faccia stanca dei pendolari, i tram e quell’atmosfera della Milano che lavora, corre corre corre e finisce per voler bene alla fabbrica.

Ripropongo qui la scheda del film Romanzo popolare, che avevo scritto per la Rassegna cinematografica del mio comune in occasione del 150esimo anniversario dell’unificazione d’Italia.

Titolo                           Romanzo popolare
Paese                            Italia 
Anno                            1974
Durata                        102 min
Colore                          Colore
Audio                           Sonoro
Genere                        Commedia
Regia                            Mario Monicelli
Soggetto                    Age, Scarpelli, Mario Monicelli
Sceneggiatura      Age, Scarpelli, Mario Monicelli
Produttore               Edmondo Amati per Capitolina Produzioni
Fotografia                Luigi Kuveiller
Montaggio               Ruggero Mastroianni
Musiche                     Enzo Jannacci
Scenografia            Lorenzo Baraldi

Interpreti e personaggi

Ugo Tognazzi: Giulio Basletti
Ornella Muti: Vincenzina Rotunno
Michele Placido: Giovanni Pizzullo
Pippo Starnazza: Salvatore
Nicolina Papetti: Moglie di Salvatore
Alvaro Vitali: L’autista
Vincenzo Crocitti: Maronati

Premi: David di Donatello 1975 per la migliore sceneggiatura

Giulio Basletti (Ugo Tognazzi) è un operaio metalmeccanico, impegnato nel sindacato, che abita nell’ hinterland milanese; ha cinquant’anni, è scapolo ed è tifoso del Milan. Un giorno incontra Vincenzina (Ornella Muti), una ragazza meridionale giovanissima, che lui stesso diciassette anni prima aveva tenuto a battesimo. Vincenzina si è trasferita a Milano; Giulio se ne innamora e la sposa. Ben presto nasce un figlio. Vincenzina comincia ad adattarsi alla mentalità più aperta della grande città e Giulio sembra aver trovato la serenità familiare, assicurando a moglie e figlio un certo benessere: l’appartamento nuovo, il frigorifero, la televisione e l’utilitaria. In seguito ad una manifestazione, Giulio conosce Giovanni (Michele Placido), un poliziotto di origine meridionale, e ne diventa amico. Giovanni inizia a frequentare la casa di Giulio; Giovanni e Vincenzina si innamorano ed iniziano una relazione clandestina. Quando Giulio scopre di essere stato tradito sia dalla moglie che dall’amico, dapprima cerca di accettare la situazione e di controllare le proprie reazioni; dopo aver però ricevuto una lettera anonima, scritta in realtà da Giovanni, non riuscendo più a sopportare il dolore e la frustrazione, perde la testa. Caccia di casa Vincenzina e il figlio, e poi tenta il suicidio. La donna, stanca di essere contesa dal marito e dall’amante come una proprietà, inizia insieme al figlio una nuova vita indipendente. Anni dopo, marito e moglie si rivedono: Giulio è ormai andato in pensione mentre Vincenzina, che ha sempre lavorato, è diventata capo reparto e membro del consiglio di fabbrica di un’industria di abbigliamento. Giovanni invece, ancora in polizia, si è trasferito e ha sposato un’altra donna. La storia si conclude con un riavvicinamento tra Giulio e Vincenzina.

Monicelli scrisse la sceneggiatura con Age & Scarpelli, mentre i dialoghi in dialetto vennero rivisti da Enzo Jannacci e Beppe Viola, famoso giornalista, scrittore e umorista (autore anche di canzoni con Enzo Jannacci e protagonista di un cameo nel film). Importante nel film è infatti la connotazione del linguaggio dei diversi personaggi: Giulio con il suo accento milanese e il suo linguaggio tipicamente politichese (da sindacalista), spruzzato di metafore sportive; Vincenzina con il suo linguaggio da fotoromanzo, espressione di una gioventù priva di strumenti culturali; Giovanni, con il suo linguaggio fortemente impregnato di inflessioni dialettali meridionali.

Romanzo popolare è una commedia ironica, ma al contempo malinconica. In questo senso, l’ambientazione è fondamentale: il regista presenta una Milano grigia e brumosa, fatta di casermoni, una Milano popolare, che vive tra giornate di lavoro in fabbrica, domeniche allo stadio a tifare Milan, serate con gli amici.

Il film tocca temi che ben esprimono la fase storica degli anni Settanta: l’impatto tra Nord e Sud in seguito alla forte emigrazione interna e alla difficile integrazione dei lavoratori meridionali nelle grandi città del Nord; le lotte sindacali e l’impegno nelle fabbriche della classe operaia ma anche il nascere di quella che Pasolini chiamerà l’omologazione culturale e sociale; l’emancipazione femminile e la presa di coscienza delle donne come lavoratrici e cittadine, consapevoli di non essere più destinate ad essere solo figlie, mogli e madri; una modernizzazione dei costumi accettata a parole, ma difficile da vivere nella pratica quotidiana e nella propria dimensione privata.

Lo stesso Monicelli ebbe a dire, parecchi anni più tardi: «Con Romanzo popolare ebbi molte soddisfazioni, perché in tutti i dibattiti che si fecero sul film, a Milano o a Torino, i partecipanti dicevano sempre: ‘Finalmente nel cinema italiano si vede un operaio com’è veramente, con dei lati anche divertenti, con una cordialità: degli operai che fanno l’amore, che litigano, che hanno anche i loro problemi da risolvere sul piano sindacale’».

Romanzo Popolare fu uno dei maggiori successi della stagione 1974-75, incassando più di un miliardo e mezzo di lire dell’epoca nelle prime visioni, sicuramente anche grazie alla straordinaria prova d’attore di Ugo Tognazzi che, rafforzato dall’esperienza con Marco Ferreri, porta sul grande schermo un personaggio complesso e dai sottili risvolti psicologici. La canzone “Vincenzina e la fabbrica”, colonna sonora del film, rappresenta una delle migliori poesie in musica di Enzo Jannacci.